Orti sociali e progetti solidali

Il terreno confiscato alla mafia diventa un orto sociale

Il terreno confiscato alla mafia diventa un orto sociale

Dalla confisca alla mafia a nuovo orto sociale: ecco cosa è successo a Castellammare del Golfo, in Sicilia.

Continuiamo il nostro viaggio nel mondo degli orti urbani. Questa volta “sbarchiamo” nella meravigliosa Sicilia.

Terreno confiscato a Castellammare del Golfo

Sì perché nell’isola più grande d’Italia c’è una bella storia da raccontare, che si svolge interamente a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Una storia che inizia male, con un terreno di circa in zona San Paolo della Croce, in mano alla mafia. Quale peggior padrone per uno spazio regalatoci dalla Madre Terra?

Come in tutte le storie però, accade qualcosa che rompe l’equilibrio iniziale. Il terreno in questione viene infatti sequestrato rimanendo in cerca di una destinazione d’uso. Ma quale? Tra le tante validissime soluzioni, a Castellammare del Golfo hanno scelto ciò che a noi piace tanto: l’agricoltura sociale.

Dalla mafia a orto sociale

Una volta terminate le fasi di pulizia e bonifica, il terreno sarà affidato alla cooperativa “Unione delle famiglie” che si occuperà di trasformare l’appezzamento in un orto sociale condiviso, dove i membri della cooperativa, composta da cittadini economicamente in difficoltà, potranno produrre ortaggi e rivenderli a km 0 a prezzi vantaggiosi.

Il lavoro sarà agevolato dall’uso di mezzi necessari per la lavorazione del terreno, anch’essi sequestrati insieme all’appezzamento.

E non saranno solo frutta e verdure a ridare vita al terreno, sono infatti previsti piccoli spazi anche per l’allevamento di galline e la conseguente produzione di uova.

Finisce così la nostra piccola grande storia. Ai cittadini di Castellammare del Golfo e ai membri della cooperativa “Unione delle Famiglie” auguriamo una buona coltivazione e abbondanti raccolti, nella speranza che sempre più spazi verranno tolti a chi li deturpa e consegnati a chi li valorizza, magari con zappa e vanga.

Foto credits: US Embassy

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